La società degli uomini

Generazione promiscua – questo era inizialmente il titolo – nelle intenzioni avrebbe dovuto essere un racconto breve e invece sembra aver preso la forma di un romanzo vero e proprio. In seguito ho cambiato il titolo in ‘La società degli uomini’ e per ora lo lascerò così. Ho cominciato a scriverlo nel giugno 2014 con l’intento di elaborare una società distopica, ispirata proprio dalle letture degli autori di cui parlo nell’introduzione (sezione Dystopian novels). È incompleto, ma ho deciso lo stesso di pubblicarlo e siccome originariamente era scritto in inglese, l’ho tradotto in italiano per coloro che non conoscono troppo bene o per nulla l’inglese.

UNO

Ai miei tempi la parola famiglia non significa molto. Almeno non quello che significava molto tempo fa, in senso tradizionale: una madre, un padre e dei figli, per lo più biologicamente correlati.

Sono il risultato di un’alchimia biologica, certo, ma non conosco mia madre biologica e nemmeno il mio padre biologico.

No, non sono stato abbandonato. Sono stato strappato dal ventre di mia madre e portato alla luce dopo che mia madre biologica era stata inseminata con lo sperma di un uomo che, come me, non ha mai conosciuto. Poi sono stato consegnato alle adorabili cure del Centro.

Nella nostra società i bambini non sanno chi sono i loro genitori biologici, se hanno fratelli o chi sono.

I cosiddetti “legami di sangue” sono solo un lontano ricordo. Questa è una buona cosa se l’intento è evitare il nepotismo!

Oggi è il mio tredicesimo compleanno e sono a pochi mesi dal mio apprendistato e dal test che deciderà il mio futuro.

Sono seduto al tavolo su cui è stata preparata una magnifica colazione: pancake imbevuti di miele di fiori di acacia, frutta secca e tè al gusto di rosa, il mio preferito.

Le rose sono la mia passione. Hanno un profumo inebriante e dolce che mi ricorda mia madre. Sì, mia madre biologica. La mia vera madre. Non può essere diversamente. Ho imparato a scuola che l’odorato è il senso più arcaico di tutti, legato a ricordi come nessun altro. Il fatto che mi piaccia così tanto, sono sicuro che può significare solo che devo averlo annusato su di lei, in quei momenti frenetici mentre stava partorendo, l’unica volta in cui siamo stati vicini. Credo di averlo amato da allora.

“Julian, sbrigati! Sarai in ritardo! “

Eccola! Mia madre, mia madre adottiva: Dolores Wonder. Una delle madri adottive del Dipartimento delle Nascite.

“Non ti preoccupare, Dolores”, dico con calma. “Oggi è il mio compleanno. Posso fare tardi! “

Proprio così! Questo giorno, di tutti i giorni, è il giorno più sacro dell’anno per ogni giovane. Potrei davvero essere in ritardo o saltare la scuola se volessi, e nessuno direbbe o farebbe nulla. Non l’ho mai fatto prima, ma i miei compagni di classe hanno scommesso che quest’anno non mi presenterò, perché questo è il mio ultimo anno a scuola. Dovrei dare loro la possibilità di avere ragione e fare sega almeno per una volta! Forse potrei fare un giro al parco delle rose.

Il solo pensiero mi riporta a tutte quelle notti che ho trascorso cercando di delineare il contorno dei lineamenti di mia madre nel buio: la curva delle sue sopracciglia, la forma delle sue labbra, la linea del suo naso, il suo bel viso, e di immaginare il colore dei suoi capelli o dei suoi occhi con tale meticolosità!

“Dimmi che non stai pensando a quello che penso tu stia pensando!” Dice Dolores fissandomi con lo sguardo, un braccio sui fianchi, mentre fisso il vuoto.

“Che cosa sto pensando?”, Rispondo, fingendo di essere scosso.

“Di saltare la scuola! Ho ragione?”

“Devo dire che è un pensiero che mi è passato per la testa!” Fingo interesse e di iniziare a chiedermi se ne valga la pena.

“E…?”

“E sarebbe davvero bello, lo ammetto.” Alla fine dico, mentre un ampio sorriso si allarga sulle mie labbra.

“Ma…?”

“Ma penso di no. Comunque grazie per avermelo chiesto. ”Commento, serio questa volta.

“Non devo ricordarti che diventare diplomatico è una cosa seria, vero? E sai bene che saltare una lezione non gioverà alla tua futura carriera, non è così? I diplomatici devono avere un passato impeccabile! ”

“Lo so, Dolores, lo so.” Dico abbassando la voce.

Sembra sollevata, rassicurata dalle mie parole. Ma poi un lampo di diffidenza si diffonde nei suoi occhi. “Presto Berenice sarà qui.”

Dolores mi guarda intensamente e so esattamente cosa intende.

Mi siedo a fare colazione e divoro tutto ciò che è davanti a me. Questo tipo di cibo non è qualcosa a cui normalmente abbiamo accesso, nè altrettanto facilmente, e nemmeno per quantità!

Le risorse sono gestite con molta attenzione dopo Il Grande Conflitto.

Ma oggi è il mio compleanno e posso mangiare tutto ciò che desidero, quanto desidero, e nelle mie stanze, invece della sala affollata dove di solito consumo i miei pasti, insieme con gli altri ragazzi che vivono qui al DdN.

“Ciao a tutti! Che odore delizioso! Sono questi i tuoi famosi pancakes, Dolores? ”Berenice Dawn è arrivata. È una ragazza carina, magra e bassa, con i capelli neri e gli occhi luminosi che sembrano saettare da un lato all’altro della testa per la paura di perdersi qualcosa di importante. Il modo in cui cammina, trotterellando con gli occhi sempre spalancati, la fa assomigliare ad un elfo.

Sarà l’apprendista di Dolores per il prossimo anno e imparerà dalla sua esperienza acquisita in anni di lavoro presso il Dipartimento. Per questo motivo Berenice trascorrerà molte ore con noi ogni giorno.

“Mi insegnerai come farli? Mi sarà utile, vero? ”

“Certo, come tutto il resto che ti insegnerò.” Dice con tutto il calore che riesce a raccogliere, sebbene tocchi solo le sue labbra, ma non i suoi occhi.

Questa è già la seconda settimana che sta con noi. Sembra essere intelligente e alla mano e mi piace, ma ho la sensazione che non sia lo stesso per Dolores. Non riesco a immaginarne il motivo. Ogni volta che è nei dintorni è tesa e sospettosa, e risponde a tutte le sue domande con astuzia.

“Da quanto tempo lavori qui, Dolores?”

“Ho iniziato, come prescrive la legge, quando avevo appena compiuto 26 anni. Pareva fossi pronta per fare la mamma.” Il suo tono ha un tocco di ironia acida.

“Quanti ne hai avuti?”

“Sette”. Sputa il numero come uno getto di veleno.

Ascoltando mentre chiacchierano, noto il suo sguardo distante. Sta pensando a loro? È questo il motivo per cui è venuta a lavorare qui? L’unica cosa che so per certo è che, come chiunque lavori qui, non riuscirà a rifarsi una nuova vita con un uomo. E come antiche sacerdotesse romane del tempio di Vesta, vivrà una vita di celibato, pena l’esilio.

“Sei stata qui sette volte e hai deciso lo stesso di venire a vivere qui?”

“Non credo che avrò mai qualcosa da offrire a un uomo. L’unico amore che ho è per le giovani generazioni. Il futuro non mi riserva nient’altro. “

La rassegnazione nella sua voce è chiarissima, anche se non la rispecchia. Non riuscirà a darmela a bere. La conosco come una donna forte e determinata, e vederla così remissiva, quando risponde alle domande di Berenice, mi dice che è troppo sospettosa. Ma di cosa?

“Mi dispiace di interrompervi, signore! Ma se la vostra intenzione era quella di assaggiare le mie prelibatezze, sono felice di informarvi che ho finito tutto! La buona notizia è … potreste cogliere l’occasione per farne ancora in mia assenza! Sarei felice di trovarne al mio ritorno da scuola. “

Mi alzo dal mio posto, passo davanti a Dolores, che si trova accanto alla porta della cucina, e sfioro la sua mano per ringraziarla silenziosamente.

Il suo sguardo sprofonda nei miei occhi e un’incommensurabile dolcezza ci passa attraverso, ma non osa seguire il mio gesto e rimane ferma. Leggo, però, il sollievo nei suoi occhi per aver interrotto quella sorta di interrogatorio.

Sento l’impulso di abbracciarla, come facciamo di notte, quando lei si siede sul mio letto, mi copre e mi augura buona notte prima di addormentarmi. Sfortunatamente non mi è permesso avere un contatto fisico così ovvio, soprattutto in pubblico, e suppongo che Berenice sia un pubblico a cui Dolores non abbia alcuna voglia di mostrare l’eventuale intimità che potrebbe esserci tra noi.

Lascio il DdN trotterellando allegramente giù per le scale verso la scuola. Consapevole delle parole di Dolores, cammino a passo svelto lungo il viale che conduce all’imponente edificio e che si spinge più in là fino al Centro dei Licenziati.

Lì vivono gli anziani che si sono ritirati dal lavoro e che quindi sono stati sollevati da qualsiasi tipo di attività. Trascorrono i loro giorni come desiderano, senza alcun obbligo nei confronti della società che ora si prende completamente cura di loro, come ricompensa per aver svolto il compito assegnato durante la vita con dedizione e senza cadere in disgrazia. Molti di loro riprendono a leggere, qualcosa che era stato abbandonato perché non era stato permesso una volta che avevano lasciato la scuola e durante tutta l’età adulta.

In effetti gli studenti sono autorizzati a leggere libri, ma non qualunque argomento desiderino. I libri vengono saggiamente e meticolosamente scelti dai diplomatici.

A tutti gli altri sono vietate letture di qualsiasi tipo, se non strettamente correlate alle proprie professioni e ogni scelta è registrata nel file personale per ulteriori controlli.

Nella Biblioteca Centrale è stata archiviata la più completa raccolta di libri di ogni genere in formato digitale, salvati dall’ira del Grande Conflitto, che tratta argomenti di ogni genere. Gli unici, che hanno accesso illimitato, sono le tre caste di uomini: Diplomatico, Guardiani e Clerici.

“Non è giusto! Ho scommesso due mesi interi di servizio al tavolo alla mensa! E a causa della tua incapacità di stare lontano da scuola, perfino nel giorno del tuo ultimo compleanno da studente, mi spetta di lavorare! ”

“Buongiorno anche a te!”

“Hai sentito cosa ho detto?”

“Ho sentito, e penso che non avresti dovuto scommettere se non fossi stato disposto ad accettare la possibilità di perdere!”

Guardo Benjamin, il mio migliore amico, imbronciato. Se non fosse che i legami di sangue sono stati aboliti da molto tempo, per ovvie ragioni, anche prima della nostra nascita, direi che è la cosa più vicina a un fratello che abbia mai visto.

Invano sopprimo una risatina che invece sfugge alle mie labbra. È ancora senza fiato per aver fatto di corsa le scale, cercando di raggiungermi, e non solo per farmi la sua ramanzina, o perché è in ritardo per la scuola e di certo non è il suo compleanno.

“Hai deciso cosa fare?”

Ecco che ricomincia! Lo guardo come se non capissi la domanda e mi giro per continuare a camminare.

“Non ignorarmi!”

“Non so di cosa tu stia parlando!” Poi mi fermo e dico.

“Sai esattamente a cosa mi riferisco.”

Sono impressionato dalla sua rabbia e, mentre provo a riprendere a camminare e faccio finta di non sentirlo, scoppia a ridere.

“Hai deciso, vero? Non hai il fegato di dirmelo, è così? “

“Smetti di perdere tempo o farai tardi. Più tardi di quanto non sia già! ”

“Dai, non vuoi dirmelo? Hai deciso? ” Ora la sua voce è una supplica.

Durante l’ultima lezione di educazione sociale, abbiamo esaminato il ruolo delle tre caste, i doveri specifici e le differenze, i giorni tipici, le regole e i comportamenti di ogni grado.

Lo stesso giorno, sulla via del ritorno al DdN, Benjamin e io ne abbiamo parlato, come facciamo quando troviamo un argomento di estremo interesse, e mi ha confessato di non avere l’ambizione di diventare un Diplomatico, né un Guardiano o un Clerico, ma certamente sa che non vorrebbe essere privato dei privilegi a cui le caste hanno diritto. Pertanto, essendo ben consapevole dei suoi problemi a seguire le regole, dovuti alla sua natura ribelle, ha paura che io scelga una delle tre e finire per essere separato da lui per sempre.

“No. Non ho ancora deciso. Abbiamo ancora tempo. E non dimenticare che comunque dobbiamo superare il test! ”

“Io non ho dimenticato! Ma tu bada a non dimenticarti di me! ”

Lo guardo seriamente e scuoto la testa. Poi gli afferro la mano e mi dirigo verso l’edificio scolastico correndo e trascinando dietro di me il mio amico.

La porta è ancora aperta. Ci infiliamo attraverso, correndo ancora mano nella mano, uno dopo l’altro, e ci ritroviamo di fronte alla porta chiusa della classe ad ansimare pesantemente e con il cuore in gola.

Così lascio la sua mano e, con un gesto rapido, mi risistemo i capelli scompigliati. Inspiro profondamente per calmarmi, quindi riprendo fiato e busso alla porta.

La classe è silenziosa e ascolta Mr Drummer che accenna appena un segno col capo in segno di riconoscimento mentre entro e mi siedo al mio banco.

Benjamin mi segue a ruota e sta per sedersi quando Mr Drummer alza la voce.

“Non così in fretta, signor Benjamin! È in ritardo e oggi non è il suo compleanno. Sbaglio?”

“Assolutamente no, signor Drummer,” dico “ma gli ho chiesto io di unirsi a me per colazione. I pancake di Dolores sono leggendari … “

“I pancakes di Dolores?” Dice il nostro insegnante deglutendo rumorosamente. “Li ricordo …”

“Si signore. Esatto.” Forzo la mano sperando di riuscire a cambiare argomento.

“Servito con miele di fiori d’arancio, il mio preferito.” Dice sognante e ingoia un altro boccone immaginario chiudendo gli occhi come se ne stesse assaporando il gusto proprio qui e ora, mentre la sua bocca si riempie di acquolina.

“Dovrei denunciarla, signor Benjamin, lo sa?”

Il mio amico sta per dire qualcosa e io lo precedo. Conoscendolo come lo conosco io, sono sicuro che non sarà niente di piacevole, quindi mi costringo ad intervenire e a sfidare la mia fortuna continuando a parlare.

“Certo e in quel caso dovrò esserlo anch’io, signore, dal momento che sono stato io a convincerlo a rimanere a colazione.” Le mie parole mi fluiscono fuori dalla bocca senza che me ne accorga e immediatamente penso che sarò nei guai se Dolores dovesse mai venire a sapere quello che ho appena fatto!

“Non so. Il manuale parla chiaro: oggi lei è scusato per via del compleanno, signor Julian … ma non sono sicuro che lo stesso valga per lui! ”Dice puntando il dito indice e rivolgendo il suo commento a Benjamin con rabbia latente.

Ormai tutti nella classe sono allerta e si lanciano occhiate l’un l’altro, cercando di prevedere cosa stia per accadere.

“Immagino che sul suo compleanno non ci siano dubbi, quindi. Anche se è vero come è vero che lei è la causa del ritardo del signor Benjamin … ” – il signor Drummer si avventura in un ragionamento pericoloso, guardandomi con cautela.

Guardo Benjamin allarmato dalle implicazioni che l’insegnante sta cercando di fare. Sta cercando di salvare Benjamin o di punirmi per essere stato audace nel tentativo di scusarlo?

Ho agito d’istinto e Dolores non mi perdonerà mai se… Non ci voglio nemmeno pensare!

Il silenzio cala come una nebbia fitta che nessuno osa spezzare.

Non sono sicuro per cosa protendere. Due opzioni sono ugualmente possibili: o Mr Drummer ha paura di perdere il rispetto della classe e l’autorità che ha acquisito per non aver denunciato Benjamin, oppure pensa invece che riceverà un formale rimprovero per avermi segnalato proprio nel giorno del mio compleanno.

All’improvviso il signor Drummer sembra aver risolto qualunque guerra stesse combattendo nella sua testa.

“Questa sarà la sola e unica volta in cui accetterò tale violazione al codice.” Alla fine chiarisce. “E non permetterò a nessuno di voi – dice puntando l’indice, ma questa volta verso ogni studente della classe – di mettermi ancora una volta una situazione del genere.”

E con ciò Mr Drummer torna alla lezione e consideriamo tutti la questione un caso chiuso.

***

“Quante volte ti devo dire di non metterti evidenza?” Dolores è furiosa per la mia spavalderia.

“Capisco la tua preoccupazione, Dolores. Ma davvero, non è successo niente! ”

“Non puoi lasciare qualcosa si frapponga tra te e il futuro luminoso che ti aspetta! Rovinerai tutto! Capisci? “Sibila anche se siamo da soli nella mia stanza. Sono sicuro che se fossimo in un altro posto, più sicuro di così, avrebbe urlato a squarciagola.

“Certo che lo so!” Sbotto annoiato. Non capisco le sue preoccupazioni. Non sono stato segnalato, nessuno lo è stato! Quindi, perché si arrabbia tanto? Più ci penso e più credo che in gioco ci sia più molto di più di quanto non dica.

“Vedo che non la stai prendendo sul serio! Promettimi che non farai mai più niente del genere. Prometti!”

“Lo prometto”, dico solennemente “Mai più!”

Dolores mi guarda sospettosa. Devo essermi arreso troppo facilmente. Non sono sicuro che manterrò la mia promessa, ma sicuramente mi assicurerò che lei non venga mai a scoprirlo. Non può controllare la mia vita come sta facendo in questo momento.

Presto sarò libero dalla sua supervisione e mi sposterò in un altro Comparto dove vanno i giovani che hanno completato la loro istruzione.

La mia vita sta per cambiare radicalmente, e questo in meno di tre mesi di tempo. Lascerò la mia “casa”, i miei amici, o almeno la metà di loro, e inizierò a realizzare progetti per il mio futuro. E dovrò scegliere il mio cognome. Francamente ho pensato che avrei dovuto pagare il mio tributo a Dolores e prendere il suo cognome per gratitudine, ma dopo tutte quelle notti trascorse a sognare mia madre, sono convinto che opterò per Rosebuds. Julian Rosebuds. Suona proprio come il mio nome.

Sono pronto a voltare pagina, credo. Mi sento abbastanza forte per andare avanti da solo, ma il pensiero di lasciare Dolores per sempre è qualcosa a cui non sono del tutto pronto. Il solo pensiero è in qualche modo inquietante. Con lei mi sento al sicuro, protetto, anche se a volte è estremamente assillante.

“Hai preso la tua pillola”, sussurra avvicinandosi “Non te ne dimenticare! È importante prenderla tutti i giorni! O rischieresti di rallentare il processo! ”

“Non ancora, stavo per farlo.”

Vado nell’armadietto dove tengo i miei vestiti puliti. In un nascondiglio, dietro un pannello a destra, è nascosta una bottiglietta marrone con venticinque pillole rosse e rotonde. Ne ingoio una subito e mi chiedo a cosa serva davvero quella pillola. Dolores mi dice che è un trattamento sperimentale e che non dovrò riferirlo ad anima viva.

Ho cercato di indagare con cautela tra i miei amici, ma finora non sono riuscito a scoprire alcun tipo di informazione. Oppure anche loro sono tenuti al segreto o addirittura non sono affatto al corrente del trattamento.

“Puoi dirmi un’altra volta a cosa servono queste pillole?” Domando.

“Ne dobbiamo parlare.” Articola lentamente le parole e poi emette un sospiro rassegnato, lasciandomi immaginare che si sia aspettata questa domanda da troppo tempo.

“Dobbiamo?”

“Sì, ma non ora.”

“E quando?”

“Avrei bisogno di parlare con qualcuno prima di dirti di più su quelle pillole.”

“Chi?” La mia curiosità brucia dentro di me all’istante.

“Non ancora, piccolo mio. Dormi adesso. Presto saprai tutto. È solo questione di tempo”.

Mi bacia la fronte, mi rimbocca le coperte e mi lascia a riflettere da solo nel buio della mia stanza.

Dopo un po’, non riesco a stimare quanto tempo, ma sono sicuro che deve essere abbastanza tardi perché tutte le luci sono spente e nessun suono proviene dal corridoio, sto ancora fissando il soffitto con gli occhi spalancati.

Non riesco a dormire. Che grande novità! Mi sto abituando a questa insonnia. Fa parte della mia vita notturna da troppo tempo e il mio unico compagno in questi frangenti è il pensiero di lei. L’unico pensiero che è sempre presente nella mia testa: mia madre. Dov’è? Cosa sta facendo? Dove vive lei? Mi pensa a volte? Quanti figli ha partorito? Ne conosco qualcuno?

Più penso a lei, più il sonno mi sfugge.

E, come se non bastasse, stasera ho qualcosa in più di cui preoccuparmi.

La mia mente corre in ogni direzione per trovare risposte che non riesco a concepire a domande che non mi è permesso fare.

Cosa succede?

Chi è coinvolto?

Perché?

All’improvviso sento la sua voce. Mi alzo dal letto e lo seguo attraverso la porta aperta e mi ritrovo in un’altra stanza che non assomiglia affatto alla mia stanza attigua che funge da anticamera/salotto.

È lunga e stretta con una parete di pannelli di vetro per separarla da un altra di circa le stesse dimensioni con una serie di grandi finestre alla sinistra. In entrambe le stanze al centro c’è un lungo tavolo coperto di piastrelle bianche e, proprio di fronte a me, c’è una donna in camice bianco da laboratorio che riempie piccole bottigliette marroni con pillole rosse.

Sono alle sue spalle e l’unica cosa che vedo sono i suoi capelli biondi raccolti in una coda di cavallo. Cerco di allungare il braccio per toccarle la spalla. Il mio braccio si stira a una lunghezza impossibile. La distanza tra me e la donna aumenta mentre provo a raggiungerla. Non la lascerò andare, non ora che finalmente ho la possibilità di vederla in faccia! Accidenti, sono così vicino!

Continuo ad allungare l’arto ed è come se non mi appartenesse più. È un lungo ponte su un fiume che scorre rumorosamente ai miei piedi, in fondo a un abisso. Sono in piedi sul bordo, in equilibrio.

La donna sembra non accorgersene e continua a fare il suo lavoro allo stesso ritmo: prende una bottiglietta marrone, la riempie di pillole, la mette dall’altra parte del tavolo e ci avvita sopra un tappo bianco.

Voglio urlare, così finalmente mi sentirà e si volterà e alla fine vedrò la sua faccia. La mia bocca si apre, ma la mia voce sparisce. Non un suono riesco ad articolare!

A questo punto la disperazione si impadronisce di me. Sono sicuro che se si voltasse e mi guardasse, mi riconoscerebbe. È lei. È mia madre! Lo so! Lo sento!

Mi protendo un po ‘di più. La mia mano le sfiora i capelli. La toccherò presto e lei si girerà e mi vedrà. Si ricorderà di me. Mi stringerà. Ancora un po’. Ci sono quasi!

I miei piedi scivolano sul bordo dell’abisso che frana e mi ritrovo a precipitare nel vuoto. Non ho paura. Sono solo deluso. Non vedrò la sua faccia. Alla fine mi arrendo e  non cerco più di raggiungerla. Mi lascio cadere e mi rilasso mentre aspetto di sfracellarmi sul fondo del baratro. Andrò in pezzi. No, non è esattamente così. Sono già a pezzi. Quindi non importa.

Continuo a cadere e mi costringo a tenere gli occhi chiusi. Sembra un’eternità, ma mi rifiuto di aprirli. Non voglio vedere. Se devo morire, morirò, ma non guarderò la mia testa schiantarsi sulle rocce sottostanti e il mio cervello spargere la sua materia su tutta la superficie dell’acqua.

Alla fine tocco il fondo. Il tonfo sordo del mio corpo mi arriva attutito alle orecchie. Non sento alcun dolore. Non alla testa, non al petto, nemmeno agli arti. Da nessuna parte!

“Stai bene?” Un leggero tocco sulla mia fronte mi fa aprire gli occhi. Dolores è china su di me mentre giaccio sul pavimento disorientato. Sembra preoccupata. Devo essere caduto dal letto.

“Dolores?” Balbetto confuso.

“Almeno sai chi sono!” Le sue labbra si aprono in un ampio sorriso.

“Sì, almeno so chi sei tu.” Dico sollevato per non essere morto e frustrato perché non ho visto il volto della donna che credevo fortemente fosse mia madre.

DUE

Ho saputo che la dottoressa Marcy Pusher è il capo responsabile del laboratorio presso il Dipartimento della Sanità da vent’anni e qui è dove vengono prodotti e confezionati tutti i farmaci. Oggi la maggior parte dei trattamenti farmacologici sono solo rimedi per le patologie lievi.

Chirurgia e microchirurgia sono procedure ampiamente eseguite per curare qualsiasi tipo di problema biologico o fisico, sia semplice che complesso, e hanno raggiunto un tale livello di accuratezza ed efficienza che hanno soppiantato qualsiasi altro tipo di trattamento.

È tardi e ho seguito Dolores fino a qui al DdS attraverso il tunnel sotterraneo che collega il nostro Dipartimento a questo.

Sono risoluto. Voglio saperne di più!

Dopotutto è in gioco la mia salute! E non aspetterò più per capire COSA stia succedendo!

CHI stia decidendo per me?

E soprattutto, PERCHÉ?

Lei entra nel laboratorio che somiglia molto a quello del sogno. Mi infilo in una nicchia posta nel corridoio nei pressi dell’entrata da cui posso osservare la scena senza rischiare di essere visto.

“Dolores,” sussurra la dottoressa Pusher sorpresa “che ci fai qui così tardi?”

Anche se presumo che la voce non sia tenuta bassa a causa dell’ora tarda.

“Dobbiamo parlare.”

“Non sono sola. Questo non è esattamente il momento più adatto. “

“È importante.”

“Sono sicuro che lo sia, tuttavia al momento non possiamo.”

“Non me ne vado senza una risposta.”

La voce della dottoressa Pusher sembra rassegnata quando parla di nuovo.

“Cos’è che non può aspettare?”

“Julian. Vuole sapere. “

“Non ho ancora capito come dobbiamo dirglielo o quanto. Quindi non lo incoraggerei. “

“Non l’ho fatto. In realtà sono sorpreso che non l’abbia chiesto prima. “

“Dobbiamo stare molto attenti con chi condividiamo le nostre informazioni.”

“Lo so, ma credo che Julian sia pronto per questo. Ci si può fidare. Lo sento.”

“Sei stata troppo a lungo con lui. Non sono sicuro di poter contare sul tuo giudizio. E dopotutto mancano ancora altri tre mesi. Possiamo aspettare ancora un po’. “

“Non credo che dovremmo, e comunque pensavo di essermi guadagnata la tua fiducia già molto tempo fa!” Dice Dolores con voce stridula.

“Non sto dicendo che tu non sia affidabile. Temo solo che Julian potrebbe non esserlo. “

“È una vile insinuazione! Ero sicura di averlo ampiamente dimostrato dopo tutti questi anni di fedele e impeccabile servizio. Sai bene che il mio giudizio è più solido che mai. ” sbotta Dolores irata.

“Per favore, Dolores, abbassa la voce”, supplica la dottoressa Pusher “Non fraintendermi. Mi fido di te. Mi sono sempre fidata di te e lo farò sempre! Ma, per favore, cerca di capire! Di recente c’è stato un interesse insolito per il nostro Dipartimento e temo che, se non saremo sufficientemente accorti, potrebbero scoprirci! “

“Ma se ora non ci fidiamo noi di lui, come potremo aspettarci che lui si fidi di noi in futuro?”

“Non ora, Dolores. Presto, ma non ancora. “

“Così? Aspettiamo?”

“Sì, aspettiamo.”

Dolores esce dal laboratorio e ritorna verso la sua stanza nel dormitorio del personale nel seminterrato del DdN.

Non la seguo, mi fermo ancora un po’ a cercare di dare un senso a ciò che ho appena sentito e sento un’altra voce interloquire con la dottoressa Pusher.

“Che cosa voleva?”

“Chiedeva altre pillole.”

“Perché discutevate, allora? Avete problemi voi due? ”

“No, nessun problema.” Mente.

Sbircio dall’angolo della nicchia in cui mi nascondo e vedo un’altra dottoressa, lo deduco dal camice bianco, appoggiata allo stipite della porta che guarda la dottoressa Pusher con occhi dubbiosi. Sembra proprio sospetti che la dottoressa Pusher menta. E se lo fa, perché dovrebbe mentire al suo collega / capo?

***

Sono sdraiato sveglio nel mio letto. Come al solito. Nervoso, eccitato, persino elettrizzato, per quello che presto potrei scoprire. Non riesco a prendere sonno dopo quello a cui ho assistito. Ora ho la prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, che qualcosa sta sicuramente succedendo!

È passato un po’ di tempo da quando non ho perso il sonno di notte pensando a qualcosa. Ma ciò che mi ha sempre tenuto sveglio era il pensiero di mia madre. Questa volta ho un mistero più intricato e, a quanto pare, ancor più pericoloso.

La notte sta svanendo e la luce del mattino si estende sull’orizzonte.

Il senso di frustrazione che sento nel profondo della mia anima non è qualcosa che ammetterei con facilità, ma quando sono solo con me stesso non posso mentire.

Perché sono così eccitato all’idea che qualcuno stia cercando di rovinarmi la vita?

Improvvisamente un raggio di luce che si muove nell’altra stanza mi fa trasalire. Sono consapevole che a volte Dolores viene da me di notte, ma non so perché ho la sensazione che questa volta non sia lei. Chi altro sarebbe entrato nelle mie stanze se non lei? Quale scopo avrebbe potuto attirare qualcuno qui?

Decido di uscire dal mio letto per dare un’occhiata. La porta è socchiusa e la luce sbiadita del giorno disegna un quadrato azzurro pallido proprio nel mezzo del pavimento della stanza principale. Una forma scura piegata su un cassetto aperto cerca frugandoci all’interno. Anche le ante della credenza vengono passate in rivista.

Che cosa stava cercando? Cosa terrà lì dentro Dolores?

Il mio cuore inizia a correre come un cavallo nel mio petto, galoppando su e giù. Sento i miei timpani espandersi con ogni battito cardiaco e la mia testa pulsare come se il cervello stesse per esplodere. Chi potrebbe essere quella persona?

Mi sforzo di capire la forma nascosta sotto la tuta, ma non riesco a distinguere un singolo dettaglio. Tutto quello che vedo è solo una silhouette nera di medie dimensioni. Può essere chiunque.

All’improvviso la forma si gira e fissa la porta da cui sto sbirciando. Arretro immediatamente. Il mio cuore smette di battere all’istante. Mi avrà visto?

La mia mente esamina velocemente ogni opzione a mia disposizione. Istintivamente penso di chiudere a chiave la porta e resistere al suo eventuale ingresso. Ma l’idea viene immediatamente scartata perché mi dico che chiunque abbia osato venire qui, nel cuore della notte, deve aver avuto un’ottima ragione e sicuramente ha preso in considerazione la possibilità di uno scontro fisico. E non sono il tipo che emerge quando si tratta di cose fisiche! Il mio corpo è troppo magro. Non è debole, è scheletrico! È come se i miei muscoli si fossero rintanati dentro le ossa!

Alla fine decido che è meglio tornare in punta di piedi nel mio letto e fingere di dormire. In questo modo, dovesse avvicinarsi, potrei avere l’occasione di vedere la sua faccia a distanza ravvicinata e forse potrei anche riconoscerla.

Mi irrigidisco nel mio letto, impietrito dall’attesa, sbirciando la porta attraverso le fessure delle palpebre. E le coperte sono diventate coltri pesanti che mi appaiono di pietra e pesano sul mio petto, rendendomi difficile la respirazione. Provo a calmarmi per stabilizzarla. I passi raggiungono la porta e una mano sconosciuta la apre.

Questa volta il contorno è più evidente. La tuta è troppo grande per chi la indossa: le maniche sono arrotolate e anche le gambe. Ora riesco a vedere chiaramente che la persona non è più alta di me e il corpo è poco muscoloso. La sagoma scura sembra dare un rapido sguardo intorno alla mia camera e scruta ogni angolo.

La postura mi ricorda qualcuno, ma non riesco ad associarla a nessuna delle persone che conosco.

La mia fronte si copre lentamente di sudore. Mi concentro per tenere gli occhi chiusi e cerco di rilassare le palpebre in modo che non rivelino il mio essere sveglio. Involontariamente leggeri tremori mi scuotono, come avessi la febbre.

Sfortunatamente sembra che anche la sagoma li abbia notati e avanza verso il mio letto. Mi costringo a rimanere calmo mentre il mio corpo urla di paura, ed il respiro quasi mi si spegne. Rimango impassibile, concentrandomi attentamente su ogni piccolo suono, amplificato dalla paura. La tensione dura per troppo tempo che alla fine mi rendo conto che non c’è alcun rumore e scopro di essere di nuovamente solo.

Sono appena rinsavito dal mio incubo che sento il trambusto provenire dal corridoio. Qualcuno ha iniziato a parlare ad alta voce, a chiedere aiuto. Sempre dal mio letto, con gli occhi ancora semichiusi, scandaglio metodicamente la stanza. La sagoma è svanita senza lasciare traccia. Sollevato, mi alzo e corro per vedere cosa sta succedendo là fuori.

TRE

Proprio fuori dalle mie stanze, a sinistra lungo il corridoio buio, un corpo giace sul pavimento. Tre persone lì in piedi lo schermano e non riesco a vedere chiaramente di chi si tratti. Quello che vedo è solo la camicia da notte adagiata sul pavimento lucido e le gambe stranamente posizionate. Ho paura di continuare ad avvicinarmi perché ho la sensazione che, ed una fitta mi perfora il petto come preannunciasse qualcosa di spaventoso, potrebbe essere qualcuno che conosco.

Lentamente mi avvicino seguendo altri che, come me, sono usciti dalle loro stanze, attratti dalla curiosità.

Faccio pochi passi e ognuno di essi innalza il livello dell’ansia. Perché ho l’impressione inquietante che questo incidente possa avere qualcosa a che fare con l’intruso nelle mie stanze? Potrebbe tutto questo essere colpa mia? È l’unico pensiero mi aleggia nella mente e lascia sbalordito! Non riesco a credere di poter attirare una simile attenzione. E comunque per quale motivo?

Ci sono quasi. Non me ne sono accorto ma, mentre mi chiedevo dell’intruso, mi sono fermato e ora ci sono molte persone intorno al corpo che lo nascondono al mio sguardo, da dove mi trovo.  Sbircio sopra le loro spalle per avere una visuale migliore, ma non vedo che i piedi nudi. Le dimensioni e il colore della pelle mi dicono che sicuramente si tratta di una persona adulta.

Realizzare questo semplice fatto allerta ancor più la mia già scossa mente.

Non sono poi così sicuro di voler saperne di più. L’iniziale sensazione di spavento sembra essere stata promossa a terrore.

Provo a fare qualche passo indietro, mentre la folla che si accalca mi spinge in avanti. Poi riconosco Benjamin, in ginocchio. Solleva il viso e mi guarda coi suoi occhi spalancati. I miei piedi si congelano all’istante, ma la mia testa inizia a dondolare da un lato all’altro come se stessi negando al mio cervello ciò che il mio cuore già sa.

Benjamin si alza e inizia a venirmi incontro, per consolarmi, immagino. Sono certo di non essere in vena di sentire ciò che ha da dirmi. Qualunque cosa sia, non voglio saperlo.

Corro di nuovo verso le mie stanze. Mentre ritorno, nella mia mente scorrono le immagini di me e di lei; del suo bel viso di notte mentre mi augura la buonanotte; di noi seduti al mio tavolo mentre sto studiando; di noi che discutiamo. No, non può essere! Non lei! Perché lei?
Intanto sono dentro, serro la porta alle mie spalle, chiudendola a chiave.

Colpi alla mia porta battono sempre più forte.

“Smettila!” Urlo con la voce rotta dai singhiozzi. “Vai via!”

“Per favore, Julian.”

“Lasciami solo!”

“Fammi entrare.” La voce di Benjamin è quasi una supplica.

“Ho detto, vai!”

“Non puoi farcela da solo!” Questa volta nella sua voce traspare la disperazione. “Apri!”

“Sto bene! Vattene e basta! ”Dico desideroso di essere lasciato solo.

“Sai che non ti lascerò in pace. Non me ne vado! Mi senti? Non me ne vado!”

“Mulo testardo!” Mi alzo furiosamente e mi precipito alla porta e lo apro rabbiosamente. “E adesso? Come pensi di potermi aiutare? “

“Stando qui. Sei il mio migliore amico e non ti lascerò mai da solo! “

Lo guardo mentre mi fissa. Il mento incavato nelle spalle e le labbra imbronciate. I suoi occhi luccicanti di lacrime trattenute.

“Devo farlo e lo farò!”

“Hai bisogno di me.” E la cautela presente nella sua voce mi rende consapevole di qualcosa che non avevo realizzato prima: lo sa!

Rimaniamo sulla soglia mentre ci studiamo silenziosamente. Non so nemmeno se è stato sottoposto anche lui al trattamento o meno. Non ha mai menzionato nulla prima. Ma come saprebbe, altrimenti?

Decido di non indagare ulteriormente. Per adesso. È troppo rischioso e io stesso non ne so molto.

Pochi istanti dopo l’eco delle suole dure sulle scale, in marcia verso la mia stanza, annuncia l’arrivo dei Guardiani.

Mentre si avvicinano al corpo, la folla si disperde e tutti ritornano alle loro stanze.

Sono ancora sulla soglia con Benjamin e li vedo passare. Sono sicuramente impressionanti: sei uomini alti vestiti di nero, stivali pesanti fino alle ginocchia e dotati di armi di ogni genere.

Davanti a loro c’è il loro capo, Mr Bold, un uomo dalle spalle larghe, alto e possente, al comando della Legione.

Non ricordo di un evento così tragico mai accaduto prima. Nessuno della mia età ricorda un … omicidio! “Oh mio Dio! Un omicidio! L’hanno uccisa! “

Ricordo che una volta Dolores mi parlò di Mr Bold e del fatto che era suo compagno di scuola e, dal modo in cui ne parlava, immaginai che tra loro doveva esserci più di una semplice amicizia.

Ecco perché è arrivato! Supervisionerà personalmente l’indagine! Cosa devo fare? Devo segnalare l’intrusione o meglio tacere?

Benjamin è in piedi accanto a me e guarda nella direzione del corpo. Ora che tutte le persone se ne sono andate, posso vederla.

DA CONTINUARE

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